Coppie di fatto, convivenza e eredità: una tematica su cui si è aperto un grande dibattito negli anni più recenti.
L’istituto della convivenza di fatto, disciplinato dalla Legge Cirinnà del 2016, a confronto con il matrimonio o con l’unione civile, è però rimasto fortemente penalizzato sotto l’aspetto del diritto successorio.
Il diritto di ereditare per legge (cd. successione legittima) esiste per i coniugi e per coloro che hanno concluso un’unione civile con persona dello stesso sesso, iscrivendola presso i registri anagrafici del comune di residenza.
Alla morte di uno dei due partner, l’altro è suo erede legittimo, titolare della quota di legittima.
Un tale diritto non spetta, invece, al convivente di fatto, che non diventa erede se non per testamento e nel limite della quota disponibile, fatte salve, quindi, le quote di legittima dei cd. eredi legittimari del/la proprio/a compagno/a defunto/a.
La situazione non cambia nemmeno se i due conviventi avevano regolamentato i propri rapporti patrimoniali – optando per la comunione legale dei beni, per la separazione legale dei beni o per una comunione convenzionale – stipulando un vero e proprio contratto di convivenza, oppure, semplicemente, avevano registrato la loro convivenza presso il comune di residenza.
In sostanza, il convivente di fatto non è erede per legge ma solo ed esclusivamente per disposizione testamentaria.
A ciò si aggiunge che, pur in mancanza di testamento, nel caso in cui si verifichi la morte del proprietario della casa di comune residenza, la Legge Cirinnà ha previsto il diritto del superstite di continuare ad abitare in quella casa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni; tale diritto viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto.
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